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‫כו’ כסלו תשע”ו‬

Momenti di Halakhà

Regole della teshuvà del Rambam                                              55
Il libero arbitrio
1) La facoltà del libero arbitrio è data ad ogni uomo. Se questi desidera    ‫יום שלשי‬
prendere la via retta ed essere tzaddiq - giusto può farlo, e lo stesso
se desidera prender una brutta via ed essere malvagio. Ed appunto
è questo il significato del verso della Torà : “Ecco l’uomo è diventato
come uno di noi, in quanto è in grado di distinguere tra il bene ed
il male “ (Bereshit 3:22); in alte parole ecco che la stirpe umana è
unica al mondo nel suo genere e di fatto non ce n’è una seconda tra
specie viventi, ad avere la stessa facoltà di distinguere il bene ed il
male, autonomamente, con il proprio intelletto e con la propria
intelligenza. L’uomo fa cio che desidera e non c’è chi gli impedisca di
fare il bene o il male. E questa realtà spiega la continuazione del verso
citato “ ed ora che non possa stendere la mano e prendere anche il
frutto dell’albero della vita e mangiarne e vivere in eterno.
2) E non ti sfiori neanche per un attimo in mente che sia il Santo
Benedetto a decidere già al concepimento che il nascituro dovrà
essere giusto o malvagio come pensano gli stolti tra le genti e tra gli
ebrei stessi. Non è così. Ma ognuno può essere tzaddiq come Moshe
Rabbenu o malvagio come Jorovam, può essere pietoso o crudele,
meschino o retto e così via e non c’è proprio nessuno che lo costringa
o decida per lui o che lo spinga a prendere una decisione anziché
un’altra. Ma è l’uomo solo a decidere da sé la propria volontà e a
scegliere la via che desidera. E questo intendeva Geremia col detto
“Non è dall’Alto che verrà il male o il bene “ (Ekhà 3,38), in altre parole
non è il Creatore che impone all’uomo di essere buono o cattivo. E
poiché le cose stanno così e il peccatore stesso e solo lui a causare la
propria rovina ed è bene che se ne renda conto, se ne rammarichi e
si lamenti delle malefatte commesse e del male che ha arrecato alla
propria anima (e torni a Hashem). E questo spiega la continuazione
del verso, citato con quello successivo: di che cosa deve lamentarsi
l’uomo finchè è in vita,non dei propri peccati? (Ekhà 3.39). Ed
ancora : perché abbiamo avuto la facoltà di decidere ed è quindi solo
esclusivamente per nostra volontà che abbiamo commesso ciò che
abbiamo commesso e perché questa facoltà di decidere sussiste anche
adesso, è opportuno che ce ne serviamo anche ora e che ne facciamo
teshuvà e che abbondiamo le nostre malefatte. Proprio questo illustra
ampiamente il senso de verso che segue “Esaminiamo le nostre vie e…
indaghiamo e ritorniamo in teshuvà sino a D-o.” Ekhà 3.40.
Continua domani…
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