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3 dicembre 2015
Momenti di Musàr
Channukkà
Il 25 di Kislev del 165 a.e.v., è il giorno in cui si concluse la lotta per
ristabilire la libertà e l’indipendenza in terra d’Israele. I Seleucidi
siriani furono sconfitti dai Maccabei e il Tempio, profanato con
statue pagane, fu riconsacrato. Per questo, i maestri stabilirono
otto giorni di festa e lode al Signore e l’accensione di lumi, di un
apposito candelabro, che rappresentano la diffusione pubblica
del “grande miracolo avvenuto lì”. Ma qual è l’essenza di questa
ricorrenza? E’ noto che il messaggio precipuo del giorno di Kip-
pur sia la Teshuvah, il ritorno a Dio; che il principio fondamen-
tale della festa di Pesach sia la libertà dalla schiavitù; quello di
Shavu‘ot il dono della Torah e quello di Purim la salvezza fisica da
un tentativo di sterminio. Quale può essere, allora, l’essenza degli
otto giorni di Hanukkah? La consapevolezza piena della propria
identità ebraica è la risposta a questa domanda; e se dovessimo
44 definire il periodo in cui cade questa festa, dovremmo chiamarlo
zeman yahadutenu (“epoca del nostro essere ebrei”). Questa con-
sapevolezza si può acquisire attraverso la comprensione di alcuni
messaggi fondamentali della festa di Hanukkah. Distinzione. La
Giovedì società ebraica durante il dominio degli ellenisti, si assimilava
molto velocemente, addirittura arrivò a nascondere quei simboli,
patti eterni, che contraddistinguono l’identità ebraica. La rivol-
ta maccabaica, si proponeva di ridestare nel popolo l’orgoglio di
essere ebrei. Essere ebrei vuol dire essere diversi, essere distinti e
disposti a vivere in modo peculiare senza preoccuparsi che altri
possano schernire e dileggiare il modo di vita ebraico. Le azioni
dei Maccabei, ancora oggi, sono un invito a non essere influenza-
ti dalle culture che ci circondano; un ebreo deve essere disposto a
essere attento alla kasherut durante un pranzo di lavoro, a osser-
vare lo Shabbat, a fare tzedakah e osservare le regole della purità
familiare, consapevole della propria diversità rispetto al mondo
che lo circonda. Noi siamo quello che siamo e non dobbiamo aver
timore di essere noi stessi. La diversità non è un problema ebrai-
co, lo è forse per gli altri. Crescere in santità. Continua a pag. 65