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26 aprile 2015

                Momenti di Musàr

Domenica Un oggetto in custodia
         Il Midràsh (Mishlè, 31) riporta una commovente storia sul santo tannà (mae-
         stro della Mishnà vissuto nel 2° secolo e.v.) di Tiberiade, Rabbì Meìr Bà’al Ha-
         nès:
         Uno Shabbàt, Rabbì Meìr sedeva nella sua casa di studio, e non era al corrente
         che entrambi i suoi figli erano morti. Bruria, sua moglie, gli volle nascondere
         l’amara notizia, coprì i due cadaveri con un lenzuolo e li spostò nell’attico.
         Quella sera, dopo la fine di Shabbàt, Rabbì Meìr tornò a casa e domandò:
         “Dove sono i due ragazzi?”. Bruria cambiò discorso e servì la cena a suo marito.
         Quando Rabbì Meìr terminò la benedizione dopo il pasto, sua moglie disse:
         “Rabbì, ho una domanda”.
         “Sentiti libera di chiedere quello che vuoi, cara moglie”.
         “Se una persona mi avesse dato un oggetto da custodire qualche tempo fa e ora
         fosse venuto a riprenderselo, come mi dovrei comportare?”.
         “Semplice”, rispose Rabbì Meìr, “devi restituire l’oggetto”.
         Bruria prese Rabbì Meìr per mano, lo condusse di sopra nell’attico e gli mostrò
         i corpi senza vita dei suoi due figli. Rabbì Meìr iniziò a piangere, gemendo per
         la sua terribile perdita. “Rabbì”, disse sua moglie, “non mi hai forse appena
         detto che un oggetto in custodia deve essere restituito non appena il propri-
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         Rabbì Meìr smise subito di piangere e citò (Giobbe 1: 21): “Hashèm mi ha dato,
         Hashèm ha preso da me, benedetto sia il Nome di Hashèm!”.
         Rabbì Chaninà, un altro saggio contemporaneo di Rabbì Meìr, elogiò Bruria e
         la sua commovente consolazione che aveva risollevato in modo efficace il do-
         lore del marito e disse (Proverbi 31: 10): “Una donna di valore, chi la troverà?”.
         Il Talmùd (trattato di Berakhòt 5b) racconta del rinomato saggio Rabbì Yo-
         channàn, il quale, avendo perso tutti i suoi dieci figli, camminava con il dente
         del suo decimo figlio in tasca e dichiarava: “Questo è l’osso del mio decimo
         figlio deceduto. Vedete come ho perso dieci figli, eppure sono ancora felice e
         sorridente! Mi rendo conto che questo mondo non deve essere la nostra pre-
         occupazione primaria e le anime sante che erano i miei figli hanno semplice-
         mente terminato rispettivamente il loro tikkùn e la loro missione in questo
         mondo, perché dunque dovrei essere triste? Ora essi si trovano in un mondo
         di pace eterna, mentre noi stiamo ancora soffrendo in questa infima Terra”.
         Rabbi Nachman di Breslav perse i suoi unici due figli, la sua prima moglie e
         lasciò questo mondo alla giovane età di 38 anni.
         Molti tzaddikìm hanno sepolto i loro cari e sofferto altre estenuanti tribo-
         lazioni, ma tutti loro sapevano sempre di essere dei pilastri di rettitudine.
         Spesso, non vi è nessuna connessione tra la longevità di una persona e le sue
         buone azioni. Noi rabbrividiamo quando veniamo a sapere della perdita di una
         persona giovane. In realtà, il pensiero della morte di una persona anziana ci
         dovrebbe scuotere ancora di più, poiché ci mostra che la morte è inevitabile.
         (tratto da Gan Emunà di Rav Arush)
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