Page 21 - Sivan 5779
P. 21
MOMENTI DI HALAKHà
Domanda: È da poco che vado in sinagoga più spesso; dopo l’Amidà che viene detta
in silenzio, il chazzàn la ripete parola per parola ad alta voce. Come mai?
Risposta: Per rispondere al meglio alla tua domanda, ci tocca tornare indie-
tro di duemila e cinquecento anni. Alla fine dell’esilio Babilonese gli ebrei
iniziarono a tornare in Eretz Israèl. Fino a quel punto non esisteva un testo
particolare né una struttura prescritta per le preghiere giornaliere. Spettava
ad ogni individuo elaborare il suo testo. Tuttavia, constatando che i giovani
non avevano abbastanza padronanza dell’ebraico per pregare bene, Ezra lo
Scriba e gli Uomini della Grande Assemblea misero insieme il testo dell’Ami-
dà e stabilirono che andasse recitata tre volte al giorno. Il problema però non
si risolse. Tutto questo accadde prima dell’invenzione della carta e della mac-
china da stampa; i manoscritti erano rari e alla fine vi erano numerose per-
sone che capivano l’ebraico ma non avevano modo di studiare e ricordarsi i
testi necessari. Per rimediare, i Saggi stabilirono che un rappresentante della
congregazione (in altre parole il chazzàn o lo shaliach tzibbùr) debba ripete-
re le preghiere. Ascoltando la ripetizione dell’Amidà e rispondendo “amen”
(che significa “sono d’accordo con ciò che è stato detto”), gli ebrei illetterati
potevano compiere il loro obbligo di pregare. Però c’è sempre l’altro lato della
medaglia. Quanto detto funziona solo per qualcuno che non sa come pregare
ma capisce ciò che si sta dicendo. Se sai pregare ma non capisci l’ebraico, non
puoi uscire d’obbligo ascoltando la ripetizione (tranne per alcune preghiere
di Rosh Hashanà e Kippùr che sono difficili e lunghe per tutti).
Come mai si ripete l’Amidà anche se non ci sono necessariamente persone
che rientrano nella categoria presenti in sinagoga?
I saggi hanno stabilito che essa venga ripetuta ad alta voce ogni volta, altri-
menti si dovrebbe interrogare ogni individuo presente per capire se rientra
nella categoria adatta alla ripetizione o meno. Al giorno d’oggi quasi nessu-
no vi rientra, tuttavia c’è un altro motivo per la ripetizione, ovvero, perché in
essa si recitano la kedushà e “modìm”. Secondo Maimonide, c’è un ulteriore
vantaggio. Egli scrive “Che cosa è implicito nell’espressione ‘preghiera collettiva’?
Una persona prega ad alta voce e tutti gli altri ascoltano. Ciò non dovrebbe essere
fatto con meno di dieci uomini adulti. La guida della congregazione è uno di loro”.
Questo sottintende che oltre al pregare insieme, ascoltare la ripetizione è il
modo per compiere la mitzvà della preghiera collettiva. I mistici spiegano
che ogni cosa ha un motivo rivelato e uno nascosto. Il motivo profondo per
la ripetizione dell’Amidà è attuale anche nella nostra epoca tecnologizzata
di app e open source. La ripetizione del chazzàn ha una forza spirituale
particolare e rende possibile che le preghiere individuali raggiungano alti
livelli. La Kabbalà spiega che le nostre preghiere possono essere dette anche
senza miniàn mentre la ripetizione dell’Amidà può essere solo recitata con
la presenza del miniàn. Infatti la ripetizione, rafforzata dai nostri numerosi
“amen”, aiuta a perfezionare le nostre preghiere e ha la forza di unirle in
una unitarietà che accede direttamente al trono di D_o. È sicuramente un
concetto che andrebbe approfondito con un rav.
Rav Yehuda Shurpin Chabad.org
21