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RACCONTO DI SHABBAT
PARASHAT EMOR
“[Un Cohen] non deve contaminarsi con il contatto con una persona
defunta tra il suo popolo” (Vaiqrà 21, 1).
Una volta il capo rabbino della Francia si trovò a partecipare al corteo
funebre di un alto esponente del governo francese di religione cattolica.
Per la strada, il corteo passò vicino ad un cimitero ebraico, ed il rabbino,
che era un Cohen, prese quindi una strada differente e si ricongiunse
all’accompagnamento funebre solo dopo aver superato il cimitero in
questione.
“Per quale ragione, rabbino, si è astenuto dal passare vicino al cimitero
ebraico?”, domandò uno dei ministri. Il capo rabbino gli raccontò della
Qedushà dei Cohanim, spiegandogli che sussiste un divieto, per loro,
di rendersi impuri con il contatto o anche solo a causa della vicinanza
con un morto.
“Se è così –incalzò il ministro– allora perché lei è entrato in un cimitero
non ebraico? Forse che noi non siamo essere umani?!”.
Rispose lui il rabbino: “Moshé Rabbenu, il quale è stato la principale
guida del popolo ebraico e ci ha consegnato la Torah di Hashem dove è
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scritto, appunto, che è proibito ai Cohanim rendersi impuri con un mor-
to, disse espressamente agli ebrei che egli, al pari di ogni altro uomo, un
giorno sarebbe morto. Diversamente, voi credete che la vostra divinità
(“Otò HaHish ~ Quell’uomo”), in realtà, non sia mai morto e che, ana-
logamente, anche i suoi fedeli non muoiano mai. Per questa ragione,
quindi, le vostre tombe non trasmettono impurità…”.
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