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Martedì23 giugno 2015

            Momenti di Musàr

        L’appellativo “Tmeà - impura” attribuito alla donna durante
        il periodo che va dall’inizio delle ciclo fino all’immersione
        nel mikwè, non rappresenta una denigrazione per lei, ma al
        contrario viene a sottolineare la sua levatura spirituale.
        La parola “Tamè” nella lashon akodesh - lingua santa, proviene
        dalla radice “atimut” ostruzione, impedimento; alla donna in
        questo periodo gli viene sottratta temporaneamente la sua
        nobile capacità di dare la vita, l’idoneità di generare, di dare
        un proseguo all’esistenza. Nei giorni di Niddà riveliamo la sua
        santità, la forza spirituale insita in ogni donna; solamente a
        chi gli si può attribuire il termine di “Taor” – puro può rendersi
        “Tamè” - impuro.
        Per esempio secondo la Torà, solo il corpo dell’ebreo porta
        impurità dopo la morte, ciò invece non accade per un goi
 14 essendo questo spiritualmente più basso. Il Maral definisce
        questo concetto in poche parole: “La mancanza di spiritualità
        è impurità”.
        L’eternità del popolo ebraico è solamente nelle mani della
        donna. Infatti teoricamente se fossero esistite solamente le
        donne, la stirpe ebraica avrebbe avuto in ogni caso un continuo,
        essendo questa, secondo la Torà, a dare al piccolo un Neshamà –
        anima ebraica e non il padre. Concettualmente senza la donna
        Am Israel sarebbe scomparso. Per questo la Torà pretende da
        lei una purificazione, una santificazione speciale per svolgere
        il suo importante compito, la conservazione dell’eternità del
        popolo ebraico! Per il merito della donne zadkaniot – giuste
        i nostri padri sono stati redenti dall’Egitto, e per merito del
        donne zadkaniot saremmo redenti con l’avvenuta messianica!
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