Page 27 - momentiNissan75
P. 27

1 aprile 2015

               Momenti di Musàr

           I messaggi dell’aggadà di Pesach

           Ve hi sheamdà lavotenu... - ed è lei che difese i nostri padri e noi
           (dai persecutori): Qual è il significato di questo passo? Cos’è “lei” che ci
           difese? E per quale motivo si alza il bicchiere di vino quando si recita questo
           passo? I Mefarshim spiegano che dicendo “lei” ci riferiamo al bicchiere di
           vino e alzandolo rappresentiamo l’innalzamento del popolo ebraico al di
           sopra degli altri goim. Quindi nel recitare “Vehi Sheamdà” affermiamo
           che in tutte le generazioni, per merito del nostro distaccamento da tutte
           le nazioni, Hashem ci ha scampati da loro e da chi ci voleva annientare.
           Solamente quando Am Israel si rivelerà a tutto il mondo come un popolo
           distinto e separato dagli altri goim, allora Hashem ci innalzerà e ci salverà
           dai nostri persecutori. Ma se chas veshalom ci avvicineremo a loro, ai
           loro usi e costumi, allontanandoci dalle nostre autentiche tradizioni
           dettate dalla Torà e dall’alachà, allora il S. ci lascerà nelle mani dei nostri
           oppressori che D. ci scampi. (Vedi il Meshech Chochmà su questo passo)

           Anì velo malach, Ani velo Saraf - Io e non un angelo, Io e non

           un serafino: Sapete per quale motivo non viene ricordato affatto il nome

26         di Moshè Rabbenù nell’aggadà? La ragione è la stessa per la quale l’ultima
           piaga, quella della morte dei primogeniti fu compiuta da Hashem Itbarach.

           Per non dare modo minimamente di pensare che l’uscita dall’Egitto fu

Mercoledì  per merito di un angelo, o di un serafino o addirittura del nostro Maestro

           Moshè. Nella sera del seder si rivela il punto fondamentale della festa di

           Pesach: la nascita del nostro popolo con l’innalzamento del fondamento

           dell’ebraismo: la fede esclusiva in Hashem Itbarach.

           Chad Gadià - Un capretto: L’uso in tutte le comunità è di terminare
           la lettura dell’aggadà con il canto “Un capretto”. Furono scritti molte
           spiegazioni su di esso, ma uno di queste è che quel motivo rappresenta
           il dialogo tra un ebreo ed un egiziano. L’egiziano sostiene che si debba
           venerare il capretto ma l’ebreo dice che la gatta è più forte, infatti se lo
           mangia, quindi è più giusto servire lei piuttosto che il capretto. Dopo
           l’ebreo dichiara che sia più opportuno venerare il cane perché questo morde
           la gatta, e l’egiziano approva. E così via: il bastone è più robusto del cane, il
           fuoco brucia il bastone, ma l’acqua lo spegne, fino ad arrivare ad Hashem
           Itbarach, l’Onnipotente, Fonte di tutte le forze; quindi è logico che è Lui
           che si debba servire e non nessun altro. Il compositore dell’aggadà scelse
           proprio come chiusura dell’aggadà “un capretto” a testimonianza del fatto
           che l’obiettivo primario di questa santa serata è rafforzare in noi l’emunà
           in Hashem Itbarach e nel Suo dominio su tutta la creazione.
           Che Hashem risvegli i nostri cuori in questa intensa serata e ci dia una
           nuova spinta per avvicinarci a Lui con l’adempimento delle Sue mizwot!
           Amen!

               (Sichà di R.Yakov Exter)
   22   23   24   25   26   27   28   29   30   31   32